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Da locale a globale: Pro e Contro!

Immagine del redattore: Elvis InformaticoElvis Informatico

Aggiornamento: 29 nov 2022

Il mercato si compone di pesci piccoli e pesci grandi, sono questi ultimi che tendono a far scomparire i primi, ma la febbre della globalizzazione annichilisce ed annienta "l'artigianato informatico" e la sua qualità.


Grandi gruppi imprenditoriali, big dell'informatica che divorano il nobile mercato rionale appropriandosi delle sue eccellenze, fatte di sacrificio e dedizione totale alla causa, di prodotti pennellati sulle forme dei clienti, pesci grandi che mangiano i più piccoli, sempre più rari e gustosi. Questo è l'andamento del mercato globale, da sempre: il MacDonald che apre accanto alla panineria, Starbucks che affoga nel burro industriale lo storico bar all'angolo. Dal settore alimentare a quello industriale il passo è breve, e troviamo le stesse dinamiche anche nel mercato IT: oggi tante aziende italiane sono state acquisite da fondi internazionali e colossi dell'informatica, con l'intento di controllare sempre più il mercato, facendo a sportellate con gli altri competitor di taglia forte. Dove porta questo "black friday" globale? Questa corsa a far scomparire i prodotti migliori? Resteranno ugualmente i migliori anche dopo esser stati acquistati dal grossista di turno? La risposta è quanto mai articolata e complessa. Una tra le qualità più rare e preziose nel mondo del lavoro è l'esperienza, forse proprio la più rara, in quanto non replicabile ed assolutamente unica nel suo genere. L'esperienza in un settore è il vissuto trascorso in anni di esercizio e lavoro; un vissuto che, quanto più aumenta, tanto più ci rende veloci nel comprendere le dinamiche di un nuovo progetto, dotandoci di una visione che nessun altro può avere. Tuttavia l'esperienza è fatta di numeri, cifre che non è affatto detto possano adattarsi ai progetti futuri, per farla breve: se sono un bravissimo artigiano che realizza mobili su misura per dieci clienti al mese, sarò in grado di mantenere la stessa qualità e la medesima velocità se i clienti diventassero cento? Quali risorse dovrei incrementare per garantire la stessa qualità? Quanto cambierebbe il portafoglio clienti? Vorrebbero tutti lo stesso prodotto od aumenterebbero le richieste di variazione da cliente a cliente? Finché si tratta di una decina di "cristiani" riuscirei a mantenere qualità e soddisfazione (che è ciò che più conta), ma su un centinaio è assai più difficile, forse impossibile. Questo è l'atroce dilemma, questo è l'esame di maturità a cui le grandi aziende costringono le neo-acquisite: farle crescere, aumentare il fatturato, volenti o nolenti. Poco importa se ciò comporterà perdere qualità, precisione, buon senso; poco importa se verrà meno la fidelizzazione coi clienti di sempre (che rappresenta il vero volano, la chiave del successo, fatto di persone prima che numeri), il modello americano (ma non solo) globale punta al dominio assoluto. Un dominio fatto di infinita piattezza, di processi maledettamente uguali e replicabili a larga scala, fedeli alla legge dei grandi numeri e del fatturato ad ogni costo.

Ho lavorato in un paio d'aziende che hanno subìto la stessa crescita, veri gioielli del mercato informatico di nicchia, che hanno costruito una reputazione impeccabile, conquistando clienti attraverso una flessibilità impensabile, fatta di weekend passati a sviluppare codice, a superare i limiti del Business (spesso impreparato ed immaturo, nemmeno consapevole dei propri reali bisogni), di modelli assolutamente non replicabili, non esportabili ad altre realtà. Ogni cliente è unico, questa è stata la chiave del successo, ed il termine "unico" è ben lontano dall'avere un'accezione positiva, spesso è tutt'altro. Questa nobile "artigianalità" ha fatto sì che solo le aziende più resilienti, preparate e flessibili potessero affermarsi nel mercato, conquistando una fetta esclusiva e non adatta su larga scala. Il passaggio da piccola certezza ad affermata realtà è quanto mai doloroso, soprattutto per chi lo vive da dentro, da protagonista. I processi che un tempo erano fatti di sudore e sacrificio finalizzati al reale successo divengono ora distaccati, quasi estranei, divengono solamente numeri, numeri, nient'altro che numeri. Quando un grande gruppo acquisisce un'azienda, tende soprattutto a settorializzarla, si passa dal "tutti fanno tutto" alla "scompartimentazione", alla divisione in scatole e "sottoscatole", come un effetto "matrioska" ma non solo, si tende a dare (anche giustamente...) linearità e sequenzialità alla gestione dei progetti, ma il portafoglio clienti (colui che paga in sostanza) è in grado di adattarsi? Ho visto clienti disperati risolvere situazioni critiche soltanto grazie alla disponibilità e l'esclusività dei fornitori, ed ho visto poi gli stessi clienti trovare irraggiungibili i loro cellulari, o sentirsi rispondere "dovete aprire un ticket sui nostri sistemi e mettervi in coda"... Ma come?! Una volta andavamo a pranzo insieme e risolvevamo tutto, oggi ti nascondi dietro un numero di ticket?! La verità è nel mezzo: crescere senza perdersi, senza snaturarsi, è possibile? Sicuramente il Business deve saper fare un passo avanti, investire internamente sul personale, renderlo edotto e competente anziché lasciarlo inerme e farlo divorare dalla consulenza, ciò migliorerebbe le interlocuzioni con le software house piuttosto che costringerle ai salti mortali per parare il culo al cliente, ma questo è un altro discorso. Il vero tema qui è la perdita della fidelizzazione, di quella collaborazione frutto di anni che ha generato empatia tra cliente e fornitore, che ha fatto sentire il Business rassicurato, tranquillo, conscio di poter contare su persone che percepiscono la preoccupazione del cliente piuttosto che su un numero di ticket messo in coda. Siamo sicuri che il grande salto sia obbligato? Come fare a crescere ancora mantenendo la propria "artigianalità"? A mio avviso, la risposta non è di certo nel globalizzare, non siamo Gesù Cristo che moltiplicò i pesci, non facciamo miracoli. Piuttosto, occorre avere visione futura, prospettiva, dove andranno a finire queste aziende? Da quel che si vede in giro, il più delle volte verranno rivendute un attimo prima di diventare zavorre, generando un margine appena sufficiente (nel migliore dei casi) per il colosso che le acquisì qualche anno prima con velleità da big farm. Cominceranno a passare di gruppo in gruppo, ognuno dei quali imporrà modelli dall'alto senza neanche vedere cosa c'è in basso (ovvero laddove viene effettivamente generato il valore), pian piano la fiducia conquistata in tanti anni verrà progressivamente esautorata dal mercato, occorre davvero farsi il segno della croce quando si tratta di acquisizioni. Ma, ahimè, così va il mondo... Il consumismo, la febbre della performance, il fatturato, i numeri crescenti, queste sono le leggi che governano il mercato globale, la frenesia delirante nella quale siamo finiti, che ci allontana sempre più da noi stessi, dal nostro sudore, dal senso comune, dalle aziende fatte di persone e non di numeri. Troppo spesso queste acquisizioni si rivelano investimenti poco remunerativi, eccellenze che vengono snaturate, denazionalizzate, trasformate in oggetti non più identificabili e riconoscibili, ma la lezione è ancora dura da imparare. E' ancora difficile capire che l'essenza di un gruppo di professionisti, quel che li contraddistingue come uomini prima che lavoratori, è il vero valore. Il vero profitto (non solo economico) sta nell'arte, nella passione che fa realizzare cose importanti agli uomini, non viene certo generato da grandi manager che millantano visioni che non hanno, prospettive irrealizzabili fatte di fuffa e che mirano soltanto ad avere il massimo guadagno il prima possibile. Massimo guadagno prima possibile, questa sembra esser la legge del nostro tempo, tutto e subito. Basterebbe dire che "Roma non è stata costruita in un giorno", che distruggere è un attimo e costruire è una vita intera. Perché continuiamo a spingerci sempre patologicamente oltre, riducendo tutto ai soliti numeri che rendono tutto insignificante, che fanno galoppare il grande male economico della nostra epoca, ovvero l'inflazione? Oggi nulla, ma veramente nulla, viene pagato per quello che è il suo reale valore, oggi il prezzo lo decide al 100% il venditore, in barba agli equilibri del mercato, tanto la sovrapproduzione occidentale rende tutto disponibile, ogni bene replicabile e quindi privo di valore. Continuiamo col voler appiattire il mondo, rendendo i pochi sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri, assoggettati al potere dei grandi gruppi. Promuovere l'eccellenza vuol dire rispettare il lavoro ed il sudore di uomini in grado di fare sacrifici, vuol dire acquisire lasciando il potere proprio a quegli uomini, che sanno come si fa, che conoscono i segreti del loro successo, la visione è assolutamente capovolta: dal basso verso l'alto, e non dall'alto verso il basso. Ma forse non lo capiranno mai...




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